Sinestesia

Una manciata di auto verso nord, autostrada praticamente deserta.
Sfreccio veloce, la Luna mi rincorre, ho un discreto vantaggio e non lo voglio sprecare.
Esco a Biasca, solo. Nel retrovisore non c’è nessuno. Davanti a me, il buio.
Continuo a guidare, non un’anima fino ad Olivone. Inizia la salita, i tornanti, la prima neve.

Un cervo in un prato, maschio, enorme. Mi guarda, immobile, e s’impettisce. Si assicura che abbia visto ed ammirato le sue corna, narciso, e continua per la sua strada, camminando lentamente nella neve.

Altro tornante, un capriolo. Meno narciso, più spaventato e sulla carreggiata. Aspetto che rientri nel bosco e continuo ad avanzare. Nord. In alto. Al freddo e lontano dalla Luna.

Camperio, Campra, Acquacalda ed eccomi: passo del Lucomagno, 1926 m.

Sento il fiato della Luna sul collo. Ho un’ora prima che sorga. Posteggio al solito posto, in Selvasecca, e mi preparo al safari. Ci son zero gradi, attorno a me il silenzio, buio e mezzo metro di neve. Posteggiando nello sterrato ho sentito lo scricchiolio del ghiaccio crepitar tra le pozze. Farà freddo, meglio coprirsi. Indosso la giacca, sciarpa, passamontagna. Guanti, scarponi. Cappuccio. Sono ridicolo. Prendo il binocolo, spengo le luci dell’abitacolo e scendo.

Scendo e non capisco.

Alzo il naso, fisso il cielo, sembra il mare al tramonto, luci, bagliori, sfumature che brillano. M’investe, d’improvviso, un’inaspettata fragranza. Un profumo zuccherino, di fiori delicati ma con un certo carattere. Mi guardo attorno: il nulla. Neve. Non capisco. Non possono essere gli abeti, pini o ginepri. Non son in fiore, non han quell’odore, son sotto la neve. Mi rimane il dubbio, ma la Luna corre e non son qui per gli odori. Mi scrollo di dosso l’idea, curiosa, che sia sinestesia, che stia frullando le percezioni, mischiando la vista all’olfatto. Mi è già capitato, ma mai così.

Frok, prof, crak, frop, cammino sulla neve, raggiungo un punto in piano, senza alberi, con una buona visuale. Alzo gli occhi al cielo con l’energia di una molla, giro su me stesso, come un cane che si insegua la coda, puntando il dito in alto, nominando costellazioni, parlando ad alta voce, ridendo, esclamando. Sguaino il mio fido 10×50 (approfondirò l’argomento binocoli a breve) e m’arrabbio con me stesso per non aver, ancora, le idee chiare. Da dove inizio?

Giove. Nell’indecisione, scelgo Giove. Gioco facile.

Non è il solito puntino giallognolo. E’ un’albicocca. Luminoso, definito, vitreo, enorme. Talmente brillante da oscurare, di luce, gran parte del cielo a lui attorno.

Lo punto, lo trovo, m’abbaglia. Focheggio. Eccoli! Quattro satelliti, quattro, tutti! Tutti i medicei! Due in basso a sinistra, due in alto a destra, disposti in diagonale su una linea praticamente retta. Fantastico. Fantastici. Quattro sfere giallognole, definite, tonde, palesi. Rimango estasiato ad osservarli a bocca aperta, per una decina buona di minuti. Controllo sullo smartphone cosa stia osservando, dall’alto in basso: Callisto, Ganimede, l’ ovvio Giove, Io ed Europa.

Antipasto servito e consumato.

Rilasso braccia e spalle per l’insolita fatica a cui le ho sottoposte e mi guardo attorno, con gli occhi di un bimbo ed il cuore che batte deciso.

Orione sta tramontando tra il Pizzo dell’Uomo e quello del Sole. Non voglio farmi sfuggire M42, la sua nebulosa. La punto. La vista al binocolo è sorprendente, nulla a che vedere con quanto già ammirato a latitudini inquinate. Osservo la spada, quella che ad occhio sembra composta da tre deboli stelline. In realtà, sono 3 ammassi, ognuno composto da diverse stelle già risolvibili con il mio binocolo. Focheggiando su M42, è chiaramente visibile l’ammasso aperto al centro della nebulosa: il Trapezio. Le sue quattro stelle più brillanti, a due a due, formano quelle che ad occhio sembran due stelle allungate, ellissoidali. Attorno, una chiara, definita, aura verdastra. Un velo irregolare che filtra e riflette la luce di questo ammasso. Bellissimo. A coronare lo spettacolo, di per sé già entusiasmante, il tramonto della stessa tra le cime aguzze e frastagliate nei pressi del passo delle Colombe. Rari sono i ricordi di simili immagini: nei due terzi superiori del campo visivo osservo chiaramente stelle e nebulosa coricarsi dietro le rocce ritratte nel rimanente terzo, inferiore, di quanto il binocolo mi mostri. Spettacolare. Pece, luce, roccia e neve.

Tenue, dall’apparenza di una stellina nebulosa, nella parte superiore di M42 intravedo M43. Non riesco a percepire gran che di questa nube, se non un labile sentore di velatura verdastra. La nebulosa De Mairan, così vien chiamata M43, altro non è che la parte superiore di M42, dalla quale è solo apparentemente separata a causa della presenza di un filamento di nebulose oscure.

Attorno a me non un rumore, non una luce. Il nulla. Profumo, neve, montagne e la notte, in un abbraccio pungente e ghiacciato.

Cambio obiettivo. Punto poco più in là, un po’ più a destra. Cambio costellazione ed osservo il Toro. Punto le Pleiadi. M45. Anche loro, come M42, in procinto di tramontare dietro al Pizzo dell’Uomo. Sei, sette, otto, nove… dieci! Altro che le solite sette sorelle visibili dalle nostre latitudini. Al binocolo, un’ulteriore meraviglia. Blu, azzurre, intense. Davvero, davvero appaganti. Delicate quanto definite, acquamarina che brilla nel firmamento. La resa è d’impatto, occupano gran parte del campo visivo. Le conosco bene, da sempre, ma vederle così è tutta un’altra musica. Emozionanti è dir poco. So che l’ammasso contenga della nebulosità, l’ho letto e l’ho visto in diverse fotografie. Mi sforzo di vederla, ma è sfuggevole, invisibile al mio binocolo. Poco importa, lo spettacolo è mozzafiato. Vedo 10, 20, 50 stelle. Perdo il conto. Le ammiro e basta.

Ed ora, la caccia grossa: gli ammassi sconosciuti. Quelli mai visti. Primizie, per un neofita come me. Stavolta, son preparato. Oggi ho studiato. In pausa pranzo mi son documentato, ho spulciato diversi siti, blog, mi son riguardato il catalogo Messier, ne ho estratto una personalissima lista di oggetti che dovrebbero esser visibili stanotte: M44, M103, M36, 37, 38 e 35.

Trattasi di ulteriori ammassi (aperti) di stelle nate dalle polveri – letteralmente – della stessa nube molecolare. Avendo avuto genesi nello stesso luogo e momento, le distanze sono tali da renderle soggette, l’un l’altra, alla reciproca attrazione gravitazionale. Questa tipologia di ammassi è relativamente giovane e contiene stelle molto luminose (le Pleiadi, ne sono un esempio lampante) e di composizione simile. E’ possibile, in alcuni casi, che un residuo della nebulosa iniziale rimanga intatto, disegnando interessanti strutture, riflettendo la luce dei propri astri. Nel corso di centinaia di migliaia di anni, fattori esterni interferiscono con l’equilibrio gravitazionale e l’ammasso inizia a sfaldarsi, perdendo la propria conformazione iniziale e dando origine ad una corrente di stelle: un insieme di astri caratterizzati da bassi legami gravitazionali. Venendo meno l’attrazione tra i suoi componenti, l’ammasso si disperderà all’interno della propria galassia. Due esempi già citati sono il Trapezio, nel cuore di M42, e l’intero M45 (le Pleiadi). Un ulteriore, interessante e sorprendente esempio, è la costellazione dell’Orsa Maggiore (non più ammasso aperto, ma ormai corrente stellare).

Tornando ai miei obiettivi, tutti e sei erano già stati oggetto di meticolose ricerche dal giardino di casa, con scarsi risultati . Pessimi. Nulli! Dal prato, non ero stato minimamente in grado di scorgerli. Il vuoto, il buio, nemmeno la soddisfazione di vederne uno. Uno piccino, brutto. Niente.

Parto con M103, in Cassiopea. Parto da lui perché è il più semplice da trovare, utilizzando la ben nota costellazione come guida. Non dovrebbe essere né il più luminoso né il più interessante, ma quantomeno è semplice da trovare. L’ammasso, infatti, è poco distante da Ruchbah (delta Cassiopeae), la stella tra la seduta e lo schienale del trono della regina etiope. Se vedo Ruchbah, con un 10×50 vedo l’ammasso. Devo. Mi basterà puntare il binocolo sul trono, trovarla e guardare lì attorno. Inspiro, sospiro. Punto in alto. Cerco la stella. So che se non vedrò l’ammasso, il morale crollerà mezzo metro sotto la neve che sto calpestando.

Trovo Ruchbah, cerco di orientarmi osservandone i dintorni.

Quel che ad occhio parrebbe nero pece, s’illumina di mille scintille.
Eccolo! Tragedia scampata.
Benzina sul mio fuoco astrofilo, temevo una secchiata d’acqua gelida.

Eccolo lì, poco più in là, poco più su. Una grigiastra macchietta lattiginosa avvolge quelle che, effimere, non riesco nemmeno ad identificare come stelle, granuli di sale che tremano nel latte annacquato. Le braccia faticano a continuare, mi sdraio nella neve. Sono incredibilmente comodo e caldo, quantomeno per ora. L’inclinazione del terreno gioca a mio favore, continuo ad osservare. Scaricando il peso del binocolo sulle arcate sopracciliari, osservo a lungo il mio primo ammasso del genere. Nessun colore, pochi dettagli se non la macchia, il bagliore e qualche stellina evanescente. Più una gioia per la mente, che per gli occhi. Chissà come apparirà al telescopio. Lascio M103 nel campo visivo, ma sposto il binocolo un po’ più in alto. Mi accorgo, ora, della presenza di un’altra macchia su sfondo nero, abbastanza percettibile, sulla linea che collega Delta Cassiopeae ed il precedente ammasso. Questo oggetto è più luminoso di M103, meglio identificabile. Controllo le mappe stellari. Appartiene ad un altro catalogo, trattasi di NGC 654, un ulteriore ammasso aperto. A differenza del precedente, son riuscito a risolverlo, parzialmente, in singole stelle, percependone la presenza ed essenza. Controllo meglio. Mi guardo attorno. Capisco ci sia altro, intravedo qua e là macchiette grige e biancastre, poco definite, sfuggevoli. M52, in particolare, visibile alla destra del trono, sulla linea che si ottiene prolungando le due stelle alla base di Cassiopea, lascia intravedere qualche timido astro avvolto in una tenue nebulosità diffusa. Non erano oggetto del mio safari, sorpresa nella sorpresa. Sarà una zona dove tornerò in futuro, con lenti e strumenti adeguati.

Soddisfatto, controllo sullo smartphone la posizione di M36, 37 e 38. Trattasi, infatti, di tre ammassi molto vicini tra loro, praticamente in linea retta, all’interno della costellazione dell’Auriga. Più o meno nel centro del pentagono, leggermente in basso e sinistra, M38. Alla sua sinistra, M36. Proseguendo per l’ipotetica linea che collega queste ultime, a sinistra della linea tracciata da Elnath e Mahasim, M37.

Inizio con M38, al centro. Per trovarlo immagino una sorta di triangolo equilatero tra Elnath e Hassaleh, le due stelle alla base della costellazione. Il terzo vertice, dovrebbe essere lui. Ci provo. Punto, cerco. Focheggio. Faccio piccoli movimenti rettilinei ed… Eccolo! Diverso. Meno dettagliato dei precedenti. M38 appare come una leggera macchia biancastra. L’impressione è quella di osservare un buffetto di fumo, prossimo al dissolversi nel buio. Mi sforzo, ma l’ingrandimento e l’apertura del binocolo sono tali da non permettermi maggiori dettagli. La Luna sta sorgendo, il che, non aiuta affatto. Forse intravedo qualche tenue stellina, ma non son sicuro che io la veda perché sia lì o perché io voglia vederla, lì.

Vado a caccia di qualcosa di più visibile: M36. Sposto il campo visivo di poco, a sinistra, ed eccolo! Decisamente meglio. Molto meglio! Più luminoso e visibile. Meglio definito. Nebulosità lattiginosa ed una manciata di stelle appena percettibili. L’effetto è quello di un’estesa macchia ruvida e biancastra.

Soddisfatto, mi sposto all’esterno del pentagono e cerco M37. Lo trovo senza difficoltà, sono davvero vicini tra loro. Meglio di M38, simile a M36. Non per questo, meno entusiasmante. Anche lui, con la propria nebulosità cinerea, tempestata di sabbia granulosa e biancastra. Qualche stella la vedo, con un telescopio sarebbe sicuramente meglio. Lo guardo a lungo, torno sugli altri, li guardo e riguardo, li studio. Da quel che ho potuto osservare, il più luminoso, dettagliato e visibile dei tre parrebbe essere M37. Son curioso di ripetere l’osservazione per confermare, o meno, questa mia impressione. Senza Luna. Senza fretta.

Abbasso il binocolo, riposo le braccia. Con gli occhi, pongo domane agli astri. Loro, muti, comunicano tremando e fremendo nell’atmosfera. La notte arde, pulsa e respira, c’è tanto, ancora, che io debba vedere. Se è vero che un’immagine valga più di mille parole, uno sguardo da quassù ne vale dieci volte tante. Osservate, gente. Uscite ed osservate.

Inizia a far freddo, avverto il bagliore della Luna rischiarare l’orizzonte, il fondo valle. Devo affrettarmi.

Nuovo obiettivo: M35, nei Gemelli. Questo è decisamente più aperto degli altri. Mi spiego: la nebulosità è leggera, le stelle sono meglio definite e riconoscibili già con il mio limitato binocolo. Ne conto 7, 10, 13, 18, forse. Bellissimo. Lo trovo molto interessante ed appagante. Me lo guardo per bene. Trovarlo è semplice, rimane nel piede di Castore (il gemello la cui testa, stella principale, è più azzurra dell’altra, gialla, di Polluce), a fianco di Propus, tra 5 Gem e 1 Gem. Ora che so dov’è, lo intravedo anche ad occhio nudo. Lo riguardo. Punto l’ Auriga, mi guardo i suoi. Riguardo M35. Tutta un’altra storia, in effetti. Quantomeno in visuale, con il mio binocolo, Gemelli vince a mani basse.

Mi rimane poco tempo. La Luna è ormai visibile. La vedo, veloce ed inesorabile, arrancare dalla valle, si avvicina, sale. Inquina. Illumina. Oscura.

Ancora uno, un ultimo oggetto per stasera: M44, nel Cancro. Ora, sebbene il Cavaliere di Cancer, nei Cavalieri dello Zodiaco, fosse uno dei miei personaggi preferiti (pur essendo un sadico, maniaco, spietato, omicida senza rimorsi) ammetto di non aver mai osservato la sua costellazione. In effetti, è composta da stelle poco luminose, deboli. Difficili da identificare. Non è che non l’abbia mai osservata. Non l’ho proprio mai vista.

La costellazione giace tra i Gemelli ed il Leone e, con l’aiuto dello smartphone, ne individuo forma e posizione. In effetti, trovo difficoltoso posizionarla nel cielo, senza punti di riferimento precisi. Dire che non salti all’occhio, è un eufemismo. Fortunatamente è simmetrica e M44 è proprio al centro del granchio.

Punto il binocolo.

Oh – mio – Dio. Sbatto le palpebre, voglio esser sicuro che non siano bagliori lenticolari. No, è reale. E’ meraviglioso.

Ora capisco perché  venga chiamato il presepe, o l’alveare. M44 è estremamente aperto e definito. SPETTACOLARE. In effetti, ora che lo conosco, già ad occhio ne percepisco una chiazza grigiastra, proprio lì, tra Asellus Borealis ed Australis. Al binocolo, si risolve in decine di stelle dalle leggere sfumature, azzurre, gialle, blu, bianche. Decine e decine. Una meraviglia. Immagino che la Luna, ormai alta, mi stia limitando visibilità e colori, ma quel che vedo è sufficiente per farmi strabuzzare gli occhi e slogare la mascella. La locuzione non credere ai propri occhi, qui, calza a pennello.

Fantastico. Lo guardo ed osservo per quantomeno altri 10 minuti, ipnotizzato. Ho fatto la scelta giusta a venire qui. Ho fatto bene a comprarmi il binocolo. Sto facendo la cosa giusta, appassionandomi a questo campo. Garantito al limone.

Mi rendo conto, sullo smartphone, che nei pressi di una delle chele, vicino alla stella Acubens, dovrebbe esserci M67, un altro ammasso aperto. Lo cerco, guardo, ma non lo trovo. Non insisto, la Luna è sempre più alta, la visibilità è crollata.

Infreddolito, stanco, provato ed entusiasta, decido che s’è fatta ‘na certa. E’ ora di tornare a casa, ho ancora più di un’ora e mezza di strada ed arriverò ben oltre mezzanotte.

Il safari è stato spettacolare. Ho compiuto il mio primo, vero, passo osservativo. Mi sono documentato, ho studiato, elaborato. Mi son preparato, intestardito, ho guidato, mi son sdraiato sulla neve ed ho goduto delle meraviglie scolpite ed incastonate nella notte. Non le avevo mai guardate, così. Peccato mortale a cui sto ponendo rimedio.

Oggi torno a casa con un ricco bottino. Risibile, per un esperto, ma di gran peso e significato per un neofita come me: M42, M43, M45, M103, M52, NGC 654, M36, M37, M38, M35 ed M44.

Tanta roba.

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